Abbiamo già intervistato lo scrittore e saggista Luigi Pruneti su argomenti come la massoneria o su un libro da lui pubblicato di recente; dato, però, che s’interessa di miti, leggende, simbologia e tradizioni popolari, abbiamo pensato bene di rivolgergli qualche domanda sul Natale, per sapere quali siano gli aspetti meno noti della grande festa e per ottenere, caso mai, qualche “spigolatura” sul Natale attuale.
A suo avviso quando è nata l’attuale festa del Natale così come l’intendiamo oggi?
Il Natale, come solenne ricorrenza liturgica per celebrare la nascita del Salvatore, è nato nel IV secolo dopo Cristo; invece, come fenomeno sociologico, ha origini molto più tarde, riconducibili alla metà dell’Ottocento, quando scaturì in Gran Bretagna per poi svilupparsi negli Stati Uniti.
Ci illustri il fatto o l’episodio che generò il “fenomeno” Natale quale grande festa collettiva.
Fu un breve romanzo fantastico dal titolo “Canto di Natale” o “Ballata di Natale” o ancora “Racconto di Natale”, pubblicato nel dicembre 1843 dal grande scrittore Charles Dickens. Questa novella ebbe un enorme successo e contribuì a diffondere quella che alcuni chiamano le “filosofia del Natale”, una sorta di buonismo riformista e cristianeggiante, secondo il quale, con la carità, l’altruismo, la generosità era possibile risolvere numerosi problemi sociali e costruire un mondo migliore.
Quali sono i principali simboli, sacri e profani, della prossima Festività?
Ve ne sono moltissimi; fra i tanti, ricordo i principali, quelli più conosciuti e celebrati: il Presepe e l’albero di Natale.
Il primo si fa risalire a San Francesco che nel 1223 celebrò il Natale a Greccio, nella Valle Santa, con un quadro vivente, dove figuravano anche il bue e l’asinello, non presenti nei Vangeli Sinottici ma riferibili a una tradizione liturgica del IX secolo. Questa iniziativa si diffuse velocemente. I personaggi reali furono sostituiti da statue e nel 1301 Giotto, lo affrescò a Padova nella Cappella degli Scrovegni, inserendoci la stella dei Magi, in quanto quell’anno aveva visto la cometa di Halley. Il più antico Presepe, ancora visibile, è quello di Arnolfo di Cambio, conservato in Santa Maria Maggiore a Roma. L’abete, il simbolo laico del Natale, ha origini ancestrali probabilmente deriva dall’antico culto degli alberi che a sua volta era connesso a Yggdrasil, l’albero del mondo degli antichi germani. L’abete era, inoltre, un simbolo sacro e l’icona della speranza, del verde che rompe il biancore sepolcrale del ghiaccio. Con l’avvento del Cristianesimo tutto questo sparì a livello religioso, ma rimase nelle tradizioni popolari. Si sa che nel Medioevo, in Germania e in Scandinavia, sotto Natale, si tagliava un abete per poi decorarlo con ghirlande, uova dipinte e dolci. Si dice, inoltre, che Lutero, avvinto dallo splendore del ghiaccio sulle fronde degli abeti, volle adornarne uno con delle candeline. Si tratta chiaramente di un mito delle origini, presente solo fra i seguaci di Martin Lutero e non in altre chiese riformate. L’uso di addobbare l’abete per Natale fu poi introdotto nel 1840 dalla principessa Elena di Mecklenburg, moglie del duca d’Orléans, alle Tuileries e da Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, marito della Regina Vittoria, a Londra. Furono sempre i Tedeschi che portarono la tradizione dell’abete negli Stati Uniti.
Vi è un comune denominatore tra il Natale e il Solstizio d’inverno?
Certamente, il Solstizio d’inverno era un giorno sacro già per i popoli preistorici, rappresentava la rinascita del sole nel giorno più buio dell’anno. Per questo divenne il momento della nascita di numerose divinità, fra le quali la più celebre fu Mitra. In seguito, il Cristianesimo fece coincidere la nascita del Salvatore con il Solstizio, sia per sovrapporsi ai culti solari, sia perché il Redentore, nelle scritture veterotestamentarie (Malachia) e neotestamentarie (Luca), viene rappresentato come un sole che porta nuova luce all’umanità.
La religione cattolica parla di un evento eccezionale la nascita del Salvatore, altre tradizioni affermano che quella del 25 dicembre è una notte magica. Tutto questo non dovrebbe caricarci di particolare energia?
Certo, di solito avviene proprio questo. Al di là della fede religiosa, le feste, i grandi riti collettivi hanno proprio siffatta funzione. La partecipazione a un evento comune riesce a innescare una fiducia di gruppo, a riaccendere la speranza che si diffonde in modo esponenziale, a comunicare pulsioni positive. È una dinamica sociale, tipica delle solennità a sfondo ottimistico che implicano un contagio salutare. Non a caso le grandi feste vi sono sempre state; esse consolidano la società e infondono fiducia nei singoli. Non so, tuttavia, se questo Natale grigio, caratterizzato da un lockdown o da un semi- lockdown, è difficile prevederlo, sarà adeguato a tale funzione.
Nella sua veste di scrittore quale favola racconterebbe ai bambini per il Natale di quest’anno?
Il “Racconto di Natale”, di Charles Dickens è come un abito da mezza stagione, va sempre bene, in fin dei conti veicola sentimenti positivi e un ottimismo di fondo; per lo scrittore inglese, infatti, basterebbe poco per migliorare la società, sarebbe sufficiente essere più caritatevoli, umani e avere governi più giusti. Secondo me, tuttavia, per un Natale come questo, sarebbe più adatta la fiaba di Cenerentola.
Perché proprio Cenerentola?
In primo luogo perché è una fiaba antichissima, noi la conosciamo nelle versioni di Charles Perrault e dei fratelli Grimm, ma in realtà era già presente nel “Cunto de li Cunti” di Giambattista Basile e le sue radici affondano nel mondo ellenico, dove era conosciuta come “Favola dell’Antico Egitto”. Ora, come tutti i racconti ancestrali, essa comunica un archetipo, in questo caso quello della speranza che non si spegne mai, anche quando la situazione sembra essere senza vie di uscita. Inoltre, mi sembra che vi siano alcuni aspetti nella narrazione di Cenerentola che richiamano la situazione attuale. La protagonista era la figlia di un uomo ricco e poi si ritrovò a vivere in uno stato miserrimo, l’Italia, ugualmente, era, un tempo, un Paese prospero e libero, ora non è più né l’uno, né l’altro. Eventuali altri parallelismi con gli ulteriori protagonisti della fiaba: matrigna, sorellastre, scarpetta di cristallo, principe e zucca, li affido alla sua immaginazione.
Tra carbone e zucchero filato di Père Noël, cosa immagina ai piedi dell'albero del 2020?
I dolciumi e lo zucchero filato che desidero tanto, sarebbero l’eclisse dell’incubo Covid-19 e la fine della dittatura sanitaria; non entro nel merito della sua necessità (“necessitas non habet legem”), ma è indubbio che di ciò si tratta. Il carbone vorrei proprio non averlo, ne abbiamo già fatta indigestione nel 2020, ma temo di trovarne un gran sacco, si chiama recessione e crisi economica.
Il Natale richiama un messaggio di speranza: la nascita salvifica del Messia, il Solstizio d’inverno preannuncia il ritorno graduale della luce e il suo trionfo sulle tenebre. Possiamo attenderci nell’anno del Covid-19 una nuova luce?
Quando si soffre di molti mali se il principale se ne va ci pare di stare già benissimo, anche se tutti gli altri acciacchi permangono. La fine della pandemia è il sole nel quale fidiamo, rimarrebbero tutti gli altri accidenti, ma intanto speriamo in questa luce.
La Stella cometa, nel Presepe, indica la giusta direzione per giungere a una meta. Quale è la meta per l’uomo del terzo millennio?
Un mondo migliore di questo, avviluppato da una globalizzazione disumanizzante, un mondo dove il protagonista torni a essere l’uomo e non il consumatore.
Aggiornato il 09 dicembre 2020 alle ore 10:15